Cattedrale San Cristoforo Martire
CATTEDRALE
Cuore del centro storico di Urbania è l’antica Abbazia di S. Cristoforo del Ponte, fondata dai monaci benedettini sulle vestigia di un tempio pagano sacro a Ercole, dio della forza, sostituito con San Cristoforo, martire dalmata, il santo atletico presentato al culto come l’Ercole cristiano. Il complesso architettonico fu edificato a partire dalla fine del secolo VI, difeso dal Metauro e di accesso con un unico ponte, che giustifica il toponimo di chiesa e monastero di S. Cristoforo del Ponte di Castel delle Ripe. Solo nel secolo XIII ha dato spazio alle prime abitazioni dei ripensi, scampati al tragico eccidio del 1277. Da allora divenne fulcro della vita religiosa e civile della città, operando per la libertà del suo popolo contro la prepotenza dei signorotti di allora, Brancaleoni e Montefeltro, e per l’autonomia ecclesiastica riconosciuta nel 1402 da Papa Bonifacio IX che la dichiarava Nullius Diocesis, sotto la protezione della Santa Sede, e l’erezione di Castel-durante a città (18 febbraio1636) e questa a Diocesi (20 ottobre 1636), con la Bolla di papa Urbano VIII Barberini che le dà il nome di Urbania. La chiesa preromanica fu tradotta in forme rinascimentali a partire dal 1467 per volere dell’abbate commendatario cardinale Bessarione. Già nel 1504 problemi di statica dell’edificio spinsero il duca Guidubaldo a promuoverne il restauro. Nel 1635 è così descritta: “La chiesa di San Cristoforo è la più antica a tre navate con colonne di travertino di bella qualità, grande, a volta”. Successivi interventi di restauro non risolsero quei problemi statici dell’edificio che, sotto il vescovo Bajardi nel 1759 subì un drastico intervento. Le tre navate scandite da colonne furono sostituite, su progetto di Giuseppe Tosi, architetto urbinate, da un’unica navata con cupola poggiante su poderosi pilastri, il tutto concepito nel settecento con stile di derivazione vanvitelliana. Nel 1870 fu completata la facciata su disegno dell’urbaniese Benedetto Tacchi, con gusto classicista che sposa la tradizione locale del cotto con il bianco del travertino, e mostra nelle due nicchie i simulacri in pietra di S. Veronica Giuliani da Mercatello e della Beata Margherita della Metola. Un corpo in laterizio collega la Cattedrale al campanile, edificato nel 1958 su progetto del fanese Donatello Stefanucci, in sostituzione della romanica torre campanaria ancora visibile, benché mutila, sul fianco sinistro della chiesa.
L’interno
I due grandi piloni sui quali s’imposta l’arco che collega le due navate e che sorreggono la cupola, invitano a focalizzare la visuale verso l’abside e il presbiterio dove è posto l’altare in marmo policromo originale commissionato dal vescovo Giuseppe Fabretti (1736-1747), smembrato nel 1970, ricavandone gli amboni intarsiati del suo stemma. Al centro del presbiterio è sospeso il grande Crocifisso di Pietro da Rimini datato 1309, trasferito in cattedrale nel 1974 dalla sua collocazione nella chiesa dei Morti. Alla base del presbiterio e dell’abside, in cui sono presenti angeli in ceramica plasticata dall’urbaniese Tommaso Amantini (1625-1704), gira il coro in noce con gli stalli canonicali, originariamente opera di maestri di legname durantini (Martori, Duranti, Oradei) manomesso negli adattamenti successivi. L’abside è chiusa dalla scenografica facciata delle canne dell’organo costruito nel 1949 da Inzoli di Crema.
La parete sinistra del presbiterio è occupata da una grande tavola con la Pentecoste dipinta dal durantino Giustino Episcopi nel 1562, affiancata dalla tela attribuita al durantino Giorgio Picchi (+1605) con la Nascita di S. Giovanni-no. Nella parete opposta, il monumento funebre del vescovo Giovanni Maria Maioli (1872-1893) scolpito dal fratello Luigi, autore anche del monumento al vescovo Guerrantonio Boscarini (1849-1872) inserito nel pilastro sinistro della Cattedrale. Il ritmo dello spazio della cattedrale settecentesca è dettato dagli altari lungo le pareti: due per ogni lato, due nel transetto e dalle due cappelle che affiancano il presbiterio. Il primo a destra, detto di Sant’Ubaldo, con la tela attribuita a Claudio Ridolfi (1620 ca.) è di patronato di Casa Leonardi. Il secondo, ufficiato dalla Compagnia degli Agonizzanti, è dedicato a San Giuseppe con tela ammirabile del Transito, dovuta al pennello di Giuseppe Cesari, soprannominato Cavalier d’Arpino (1568-1640). Nasconde la nicchia ove si conserva la statua lignea ottocentesca, donata dall’Associazione dei Falegnami di Urbania. Nel transetto, dopo l’ingresso alla Sagrestia, serrata da una pregevole porta intagliata nel 1632 da Cesare Oradei, è l’altare di San Cristoforo, patrono di Urbania, voluto qui, per autorità del Comune dal 1704 e a sistemazione del deposito della Santa Reliquia del Martire, in Urbania chiamata “Santa Spalla”. L’altare decorato con marmi policromi fu provvisto di una tela raffigurante San Cristoforo attorniato da Santi, opera datata 1704 di scuola veneziana, oggi depositata nel Museo diocesano, mostra la statua policroma del Santo, scolpito in legno di fico a Napoli nel 1768. Durante la ricorrenza del 25 luglio vi si espone la Sacra Reliquia dell’Omero del Santo, custodita in un’urna d’argento e oro uscita dalla bottega di Antonio Pollaiolo, donata alla comunità dal Cardinale abbate commendatario Bessarione, e recata dallo stesso cardinale scortato dal duca Federico il 30 aprile del 1472. Il ricordo di Federico da Montefeltro ha voluto che nel 1927 la cappella dedicata al patrono S. Cristoforo su progetto dell’urbinate cav. Giuseppe Paolucci, fosse decorata a stucchi rinascimentali desunti dagli originali del palazzo ducale di Urbino. Nel 1850 la comunità urbaniese aveva provveduto a marmorizzare le basi dell’altare e a imprimervi l’insegna araldica.
Cappella e Altare del santissimo Sacramento. Fino al sec. XVIII era dedicata a San Cristoforo. Il vescovo Boscarini (1849-1872) ha voluto l’ altare e il tabernacolo in marmi policromi. Il vescovo Giovanni Capobianco nel 1951 commissionò il rivestimento marmoreo e il pavimento della Cappella dotata anche di una nuova cancellata su disegno di Federico Melis, eseguita dai maestri locali del ferro Damiani, che hanno provveduto al recupero di parte della vecchia , curata opera del durantino Metauro Balducci (1635), e attualmente reimpiegata nel Battistero.
A destra e a sinistra la Cena di Emmaus e la Flagellazione replica della Flagellazione di G. Avanzi nella chiesa dei Servi di Cento, opera settecentesca proveniente dal lascito Matterozzi-Brancaleoni. Cappella e Altare della Madonna di Loreto, oggi dedicata al culto della Madonna dei Portici o della Misericordia compatrona della città. Eretta come ex voto per la nascita (1605) di Federico Ubaldo, figlio del duca Francesco Maria Il della Rovere, è dichiarata come tale dal bassorilievo nella cimasa dell’altare. Consacrata dal vescovo Honorati all’inizio del suo episcopato (1636-1683), ospita dal 1855 la copia dell’immagine della Madonna col Bambino affrescata da Bernardino Dolci nel 1450, trasferita dai portici di Casa Basoia. Nel 1854 ebbe il titolo anche di Madonna della Misericordia, per voto del Comune nell’epidemia di colera in quell’anno. E appunto a quella data vanno legati gli stucchi dorati della volta (Immacolata Concezione, a ricordo delle festività che qui si celebrano) e gli altri fregi. Sulla parete destra una lapide paleocristiana ricorda santa Secondina, le cui reliquie sono custodite nell’urna dorata pro-veniente da Casa Matteorzi-Brancaleoni, patrona nel secolo XVIII della Cappella. Dal 1966 la Cappella ospita una cripta dove sono inumati i corpi dei vescovi Maioli, Boscarini, Capobianco e del servo di Dio Domenico Bartolomei (+ 1938) di cui è in atto il processo di Beatificazione. Altare di S. Romualdo, detto “delle reliquie” perché ne conserva, in splendi, li reliquiari dietro la pala e una artistica ..tatua settecentesca in legno, conservata oggi in apposito armadio della Sagrestia. Si trova nel transetto, fornito di colonne e di strutture in legno dipinte a finto marmo. La pala d’altare dipinta su tela con l’Incoronazione della Vergine e Santi monaci camaldolesi da Carlo Spiridione Mariotti (1746), e la sottostante urna contenente il corpo di S. Placido martire, estratto dal cimitero romano di Calepodio, ricomposto e vestito sontuosamente da soldato romano nel sec.XVIII, provengono dall’oratorio domestico della contessa Anna Matterozzi-Brancaleoni (+ 1918). Nella parte superiore la cornice che fa da cimasa all’intera struttura reca l’immagine di S. Crescentino M., tela dipinta da Giovanni Francesco Ferri di Pergola (1746), il cui stile è leggibile anche nelle Via Crucis dipinta e firmata dal suo allievo Pietro Ugolini, esposta in bel-le cornici intagliate nelle paraste della Cattedrale. Ai lati è sistemata una Annunciazione in due tele (Angelo Annunciante e Madonna), nel sec. XVII ai due lati dell’altare dei Servi di Maria, dipinta da Claudio Ridolfi (1642). Altare del Crocifisso, soggetto della tela baroccesca qui conservata (sec. XVII). In alto sulla parete appare una lapide sormontata dalla tiara pontificia, dedicata dal capitolo della Cattedrale a papa Urbano VIII. Altare della Cappella del Rosario. Apparteneva all’omonima confraternita fondata nel 1600. La pala dell’altare , che raffigura la Vergine col Bambino e i Santi Domenico, Caterina e Pietro apostolo, racchiusa dai quindici misteri del Rosario, è attribuita a Domenico Peruzzini (1602-1637). In apposito luogo contiguo è murato il Sepolcro del principe Augusto Chigi, fratello di papa Alessandro VII, morto in Urbania il 12 ottobre 1651, mentre era di ritorno dal pellegrinaggio alla Santa Casa di Loreto. Ne porta lo stemma in tarsia policroma di marmo. Il monumento, restaurato nel 1824 per volere dell’erede Agostino, nel 1970 ha preso il posto del battistero che è stato trasferito nell’apposito ambiente frontale.
Battistero
Si trova immediatamente all’ingresso di sinistra della bussola della cattedrale. E’ ricavato da un resto della navata gotica della primitiva chiesa abbaziale preromanica. Vi si accede attraverso un classico portale in pietra gessosa, opera dei Ricci di Sant’Ippolito di Fossombrone (1747). La cancellata in ferro battuto sormontata dallo stemma di Casteldurante e la grata dal giglio guelfo, è quanto rimane dell’opera cinquecentesca di Metauro Balducci. All’interno del battistero, assieme al grande catino scolpito dagli scalpellini di Sant’Ippolito, è stato risistemato l’ornato che contiene una pittura su pietra con il Battesimo di Gesù di anonimo locale (sec. XVIII). Nello stesso ambiente si conserva un affresco staccato, del sec. XV, con Sant’Eracliano vescovo, rinvenuto sul vecchio muro del protiro, durante i recenti lavori di restauro della Cattedrale. In una nicchia romanica in pietra aperta da un’arcata gotica fa bella mostra di sé un presepe plasticato e maiolicato e lustrato in oro a terzo fuoco, opera originale del sardo, poi cittadino urbaniese, Federico Melis.
Sagrestia
E’ composta da quattro ambienti divisi in: Uffici, Sagrestia dei Mansionari, Sagrestia dei Canonici, Sala di adunanza. Vi si accede dalla Cattedrale attraverso la porta di sinistra contraddistinta dalla pregevole porta intagliata nel 1637 da Cesare Oradei e sopra questa da una lapide del 1774 a memoria degli interventi promossi dal vescovo Castelli, originario dell’arcipelago greco (Scio), a beneficio del tempio. Il solenne mobilio della prima sagrestia, detta dei Mansionari, si deve ai maestri intagliatori durantini Cesare Oradei, Orazio Martori e Francesco Duranti (sec. XVII), su cui è intervenuto nel 1758 l’urbaniese Guido Galeotti con le colonne tortili e i capitelli inquadranti la tela con San Cristoforo dipinta all’inizio del sec. XVII dal durantino Raffello Raffaelli. Nelle pareti i dipinti su tela raffiguranti il trionfo del pino di San Cristoforo, di scuola di Francesco Ferri pittore aulico di Casa Matterozzi, “morto in Urbania nel 1775 e la pala con la Sacra Famiglia, a firma dell’urbaniese Ferdinando Spugnini (inizio sec. XX). Nella seconda sagrestia, riservata ai canonici, si conservano tele ritratti, tra cui spiccano quello di Urbano VIII, del cardinale nipote Francesco Barberini, di mano del Vouet (sec. XVII), del “cardinale Niceno” Bessarione, di cui si vuol mettere in risalto la sua origine greca (anonimo locale, sec. XVIII), S. Cecilia all’organo (baroccesco, sec. XVII); S. Francesco di Sales, dipinto dall’ urbaniese Maurizio Sparagnini (1706-1748).