Il lavoro con cuore di padre
Triduo in preparazione alla solennità di San Giuseppe
Il lavoro con cuore di padre
Giovedì 18 marzo 2021
Proseguiamo la nostra riflessione su san Giuseppe.
Non finiremo mai di comprenderlo appieno perché le sue straordinarie virtù eroiche superano quelle di tutti i santi messi insieme.
Oggi prendo spunto dal capitolo 13 del Vangelo di Matteo per riflettere sull’importanza e sul valore del lavoro in questo tempo di crisi, a causa della dilagante epidemia. Lo facciamo per avere un conforto ed un aiuto e per capire, dall’esempio della vita di san Giuseppe, come il lavoro rientra nella realizzazione della personalità dell’uomo secondo il progetto di Dio.
Nel vangelo di Matteo leggiamo queste parole:
In quel tempo Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? “(Mt 13, 54-58).
Era più conosciuto Giuseppe come falegname che Gesù come Figlio di Dio.
La fama di Giuseppe era nota come uomo di fatica più che come padre del Figlio di Dio.
Tutti conoscevano Giuseppe come uomo onesto e servizievole, perché era un uomo che stava facendo “in silenzio” il suo lavoro: un servizio alla famiglia e alla comunità in cui viveva.
Ma nessuno pensava alla sua integrità morale ed alla sua osservanza religiosa come “padre” umile e buono.
Viene subito da domandarci:
- che differenza c’era tra il lavoro di Giuseppe come artigiano
ed il lavoro dei comuni artigiani ebrei, o se volete , del lavoro della gente, che di Giuseppe e del suo Figlio Gesù non aveva capito nulla?
- Per la gente comune, il lavoro veniva considerato come mezzo per guadagnare denaro e come autoaffermazione di arricchimento per migliorare il proprio livello economico, e per alcuni – addirittura – il lavoro poteva essere un mezzo che si prestava per inventare modi a volte illeciti (anche con sotterfugi e disonesti imbrogli) pur di guadagnare!
- Per san Giuseppe invece il lavoro era tutt’altra cosa: per lui è stato sempre come un dono di Dio per sostenere la vita della famiglia e come mezzo per contribuire alle necessità altrui. Per lui il lavoro era un’esigenza della sua condizione di creatura, che agiva nel quadro della divina provvidenza e come espressione della sua dignità.
Papa Francesco, aprendo l’«Anno di san Giuseppe» con la sua lettera apostolica per il 150° anniversario della dichiarazione di san Giuseppe come patrono della Chiesa universale, mette in evidenza l’onestà del lavoro, attraverso il quale anche Gesù ha imparato il valore, la dignità e la gioia di ciò che significa mangiare il pane come frutto del proprio lavoro.
In questo nostro tempo – dice il papa – nel quale il lavoro sembra essere tornato a rappresentare un’urgente questione sociale con una disoccupazione che raggiunge talora livelli impressionanti, è necessario riflettere con consapevolezza per comprendere il problema umano ed etico-sociale, perché il lavoro è per se stesso un diritto per sviluppare le proprie potenzialità e qualità, mettendole al servizio della società.
La perdita del lavoro che colpisce tante persone è aumentata a causa della pandemia. Questo dovrebbe essere un richiamo a rivedere le nostre priorità.
Tutti viviamo in una famiglia che ha bisogno di essere sostenuta.
Dobbiamo sentirci tutti “padri”.
Ma padri non si nasce, lo si diventa. E non lo si diventa solo perché si mette al mondo un figlio, ma perché ci si prende responsabilmente cura di chi a bisogno di noi. Tutte le volte che qualcuno si assume la responsabilità della vita di un altro, in un certo senso esercita la paternità nei suoi confronti.
San Giuseppe è vissuto ben 2000 anni fa. Anche lui ha dovuto lavorare e cercare il lavoro per mantenere la famiglia ed aiutare le persone della sua comunità.
Lo stesso Gesù, nel trascorrere i suoi 30 anni di vita nascosta nella bottega di suo padre, dimostrò la più alta dignità del lavoro a servizio degli altri.
Gesù, Figlio di Dio, non si vergognava di essere chiamato con la qualifica di carpentiere, e non ha voluto dispensarsi dalla normale condizione di ogni uomo come gli altri.
Leggiamo queste parole nell’enciclica Laborem exercens di san Giovanni Paolo II: “L’eloquenza della vita di Cristo è inequivocabile: egli appartiene al mondo del lavoro, ha per il lavoro umano grande riconoscimento e rispetto; si può dire di più: egli guarda con amore questo lavoro e le sue diverse manifestazioni, vedendo in ciascuna una linea particolare della somiglianza dell’uomo con Dio, Creatore e Padre” (LE, 26).
E’ per questo che il pensiero cristiano considera il lavoro come espressione delle facoltà umane, e non soltanto di quelle fisiche, ma anche spirituali, perché queste facoltà spirituali hanno la forza di imprimere nell’opera manuale il segno della personalità umana, e perciò il suo progresso, la sua perfezione, e alla fine la sua utilità economica e sociale.
Il lavoro è l’esplicazione normale delle facoltà umane, fisiche, morali, spirituali!
Come potremmo parlare della dignità umana – dice il papa – senza impegnarci perché tutti abbiano la possibilità di un degno sostentamento?
La persona che lavora, qualunque sia la sua attività, collabora con Dio stesso, diventa cioè un po’ creatore del mondo che ci circonda.
Ricordiamoci bene che mentre lavorava, Giuseppe aveva accanto Gesù. E quando era stanco, gli sarà anche capitato di guardare quel suo figlio, che – e lui lo sapeva – era figlio di Dio. Mi vien da pensare che questo gli poteva dare anche nuovo vigore, perché sapeva che con il suo lavoro stava collaborando ai piani misteriosi della salvezza.
Nel progetto di Dio il lavoro appare come un diritto-dovere. Necessario per rendere utili i beni della terra alla vita di ogni uomo e della società.
È il lavoro che contribuisce a orientare l’attività umana a Dio nell’adempimento del suo comando di “soggiogare la terra”.
Si tratta di una vera e propria spiritualità cristiana del lavoro. Anzi potremmo parlare proprio di “vangelo del lavoro”, perché l’attività umana possa promuovere l’autentico sviluppo delle persone e dell’intera umanità.
Il Concilio Vaticano II afferma che «l’attività umana, individuale e collettiva, ossia quel poderoso sforzo col quale gli uomini nel corso dei secoli cercano di migliorare le proprie condizioni di vita, considerato in se stesso, corrisponde al disegno di Dio . . Gli uomini . . . col loro lavoro prolungano l’opera del Creatore, . . . e dànno un contributo personale alla realizzazione del piano provvidenziale di Dio nella storia» (GS, 33).
Ora mettiamoci davanti allo specchio del nostro comportamento e chiediamoci, accanto a san Giuseppe, quanto amore e considerazione abbiamo noi nel compimento del nostro dovere a casa, a scuola, all’officina, nelle fabbriche, nei laboratori, nei capannoni industriali, in ufficio … e riflettiamo con quale cura siamo capaci di iniziare e portare a termine il nostro lavoro. Pensate alla puntualità, alla precisione dell’orario; pensate all’onestà dello svolgimento dell’attività lavorativa e pensate anche alla sincera preparazione ed onesta preparazione professionale … Ma pensate anche a quanti perditempo, a quante scorrettezze e furbizie si possono fare e si fanno pur di guadagnare la stima e lo stipendio.
Papa Francesco, attraverso la sua lettera apostolica “Patris corde” afferma che san Giuseppe ha amato Gesù “con cuore di padre” e fa un elenco delle sue qualità umane, spirituali e sociali: lo vede come padre amato, come padre della tenerezza, come padre dell’obbedienza, come padre dell’accoglienza, come padre del coraggio, come padre lavoratore … Ma io vorrei aggiungere anche (com’è scritto nelle litanie) Giuseppe era tutto questo perché era giusto, era casto, era prudente, era il conforto dei sofferenti e la speranza degli infermi …
- Vorrei terminare queste breve catechesi con la parole di papa Francesco, che termina così la sua lettera apostolica:
“Non resta che implorare da san Giuseppe la grazia delle grazie: la nostra conversione. A lui rivolgiamo la nostra preghiera:
Salve, custode del Redentore
e sposo della Vergine Maria.
A te Dio affidò il suo Figlio;
in te Maria ripose la sua fiducia;
con te Cristo divenne uomo.
O beato Giuseppe,
mostrati padre anche per noi
e guidaci nel cammino della vita.
Ottienici grazia, misericordia e coraggio,
difendici da ogni male ”.
Con queste parole del papa, possiamo augurarci che anche la nostra comunità parrocchiale possa essere capace di vivere la paternità “singolare” di Giuseppe, quella che non genera Gesù secondo la carne, ma che può diventare anche lei “custode” della vita del Figlio di Dio tra noi. Così sia.
Giuseppe Mangani
Urbania – Parrocchia San Cristoforo M.